Prima regola: rispettare il territorio
Dissesto idrogeologico. Sicuramente non sapete di cosa stiamo parlando. Ve lo spieghiamo in questo articolo che racconta di piogge incessanti, alluvioni, case allagate e fango: le ferite di un Paese, il nostro, che soffre e si sgretola. E la colpa è dell’uomo.
Frane, alluvioni, inondazioni. Case allagate o travolte dal fango, persone costrette a lasciare tutto e a trovare rifugio da parenti o amici o nelle strutture di emergenza allestite dalla Protezione civile. Tanti morti, tanti feriti: sono oltre diecimila, secondo Legambiente, quelli contati in Italia dal 1900 a oggi.
Tutto questo ha un nome: dissesto idrogeologico. Un nome che spiega tutto, basta prendere il vocabolario.
Dissesto: condizione di squilibrio, di instabilità. Un po’ come un bicchiere di plastica pieno d’acqua fermo sul bordo di un tavolo, che può cadere se soltanto lo sfiori. Idrogeologico: relativo alle acque, superficiali e sotterranee. Cioè fiumi, laghi, mare, falde acquifere e così via.
Il dissesto idrogeologico ha colpito duro in Italia: Genova è forse la città simbolo della forza distruttrice delle acque. Tra il 1963 e il 2012, secondo i dati Irpi-Cnr recentemente riassunti dal quotidiano La Stampa, le frane hanno causato tra morti e feriti 5.192 vittime, mentre le inondazioni hanno colpito 1.580 persone. E il rischio è diffuso: oltre 5 milioni e mezzo di persone (il 9,6% della popolazione italiana) vivono in zone a elevato rischio idrogeologico.
Casualità? Disgrazia? Colpa della forza inarrestabile della natura? Niente di tutto questo.
Il dissesto idrogeologico è causato soprattutto dall’uomo e in particolare dalla sua capacità di modificare (spesso in peggio) gli equilibri naturali. Per esempio: tra il 1956 e il 2010 in Italia il suolo consumato, cioè tolto alla natura per essere destinato alla costruzione di case, industrie, negozi eccetera, è passato da 8.000 a 20.500 chilometri quadrati. Una crescita del 156%, mentre nello stesso periodo la popolazione è aumentata solo del 24%.
Più suolo consumato significa più cemento, più cemento significa meno terra capace di assorbire l’acqua che piove dal cielo. E tutto questo vuol dire quello che abbiamo ormai imparato a conoscere: strade che si trasformano in fiumi, case devastate, vittime.
Siamo ancora in tempo per tornare indietro? Sì, secondo Legambiente, che da quasi 5 anni conduce una campagna con una serie di proposte. Tra le principali: “Ridare spazio alla natura. Restituire al territorio lo spazio necessario per i corsi d’acqua, le aree per permettere un’esondazione diffusa ma controllata”. E ancora: “Avere cura del territorio, con una corretta manutenzione di fiumi e canali; prevenire gli incendi, smettere di costruire nelle zone a rischio”. Piccole grandi azioni che vanno messe in pratica da subito.
E noi, nel nostro piccolo, che cosa possiamo fare? Possiamo parlarne con i nostri amici e con i nostri genitori, possiamo condividere queste informazioni sui social network. Possiamo, anzi dobbiamo, imparare a far sentire la nostra voce, soprattutto quando in gioco c’è il nostro futuro.
(in copertina: alluvione a Vicenza, novembre 2010)
Domenico Lanzilotta
- giornalista professionista, direttore responsabile di Venetoeconomia, si occupa e scrive di economia, politica, cultura