Brasile: non solo calcio e musica!
Dopo aver ospitato il Mondiale di Calcio 2014 e aver fatto gioire milioni di spettatori televisivi con immagini di festa, ballo e colori accesi, il Paese carioca deve fare i conti con una larga parte della popolazione che vive in estreme condizioni di povertà. Aspettando un altro grande evento sportivo: le Olimpiadi 2016…
Colori, musica, gente che balla e che gioca a calcio nelle piazze. Questa è la cartolina del Brasile che i Mondiali di Calcio 2014 ci hanno presentato. Ma il Paese sudamericano è molto di più e mentre i riflettori di tutto il mondo erano dentro agli stadi, fuori si giocava un’altra partita, più importante, quella per vincere la fame e la violenza delle favelas. Nelle baraccopoli costruite nelle periferie delle grandi città brasiliane la vita non è per niente facile per i ragazzi “neri e poveri”, come sono stati definiti dalla stampa internazionale. La repressione della polizia è tuttora fortissima all’interno delle favelas e, mentre la coppa del mondo ancora si giocava, molti adolescenti e giovani residenti ad Acarì o alla Rocinha, vicino a Rio de Janeiro, hanno protestato per il riconoscimento dei diritti umani anche nelle loro piccole comunità, lontano dalle luci del tanto amato Mundial.
Proprio mentre gli occhi del pianeta erano puntanti sull’evento sportivo infatti la sicurezza, nelle città dove si giocavano le partite, è stata mantenuta con i soliti metodi, quelli violenti, che mettono gli agenti brasiliani ai vertici delle polizie più dure del mondo. Tra case pericolanti, disoccupazione alle stelle, condizioni igienico-sanitarie pericolosissime e, ovviamente, delinquenza, si svolge la vita degli abitanti delle baraccopoli, purtroppo aumentati di numero di anno in anno, dopo l’impoverimento della classe media a causa di una differenza monetaria sempre più grande tra poveri e ricchissimi.
Senzatetto, mendicanti, ragazzi arrabbiati, armati di pietre e bastoni: questa dovrebbe essere l’immagine veritiera di Rio de Janeiro e di tutto il Brasile. Per i giornalisti internazionali però è stato più facile fermarsi al pallone, guardare le partite di calcio e gioire o piangere per vittorie o sconfitte delle proprie squadre. Qualcuno ha raccontato i disordini in piazza, ma pochi reporter sono andati a guardare davvero al di là dei quartieri residenziali delle ville con piscina. Da sempre nei Paesi dove si svolgono manifestazioni internazionali e dove i diritti umani non sono perfettamente garantiti a tutti, il Governo fa in modo che la gente guardi da un’altra parte, che l’obbiettivo della telecamera si fermi sulle immagini gioiose e di piazza, costruite a tavolino. Lo stesso Mondiale, accolto con gioia anche dagli abitanti delle favelas e da tutta la popolazione, è stato vissuto dal vero solo dai benestanti, visti i prezzi esageratamente alti dei biglietti. Così anche il Maracanà, il celebre stadio di calcio di Rio de Janeiro da sempre simbolo del popolo, oggi è un posto solo per ricchi.
Ma chiuse le porte del Mondiale 2014, con anche l’amarezza calcistica di non aver vinto la competizione, per la nazione sudamericana questo è tempo di bilanci. In prospettiva delle nuove elezioni presidenziali e politiche del 5 ottobre, i vari partiti promettono ovviamente meraviglie. Dilma Rousseff, attuale Presidente, si è ricandidata, ma deve fare i conti con tutti i problemi emergenti e bollenti del suo Paese e le Olimpiadi del 2016, che si svolgeranno sempre a Rio De Janeiro, sono in primo piano. Due anni però non sono tanti per cambiare il Brasile e il volto insoddisfatto della sua gente.
Erika Saggiorato