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Alex e i suoi “bimbingamba”


Il 5 febbraio, alle 20.45, il Teatro Verdi di Padova ospita una serata di solidarietà per sostenere Bimbingamba, l’associazione di Zanardi che realizza protesi per bambini amputati e senza assistenza sanitaria. Sul palco tanti artisti, da Luca & Paolo a Fausto Leali, passando per Gene Gnocchi. Con loro ci sarà anche Alex, noi di “Prime Pagine” l’abbiamo intervistato e lui ci ha detto: “Servono azioni concrete e le persone che hanno una disabilità devono far sentire la loro voce e comunicare le loro esigenze”.

Alex, quanto conta l’assistenza del personale e il sostegno psicologico, in ospedale, quando devi affrontare il trauma dell’amputazione?

Direi, in ultima analisi, tantissimo. Doverlo affrontare è drammatico, anche se io lo posso solo immaginare. Per me era già tutto successo quando mi sono risvegliato ed ero felice di prendere atto che quelle operazioni mi avevano salvato la vita. Chi deve affrontare l’operazione diciamo che non ha percezione che la sua vita è in pericolo e che è necessario rinunciare a parte del proprio corpo, per questo le persone accanto sono utili e importantissime. Il confronto con chi l’ha già affrontato è poi ancora più importante, perché è diverso sentire quello che potrai fare dopo l’operazione dai medici e percepirlo meglio attraverso il linguaggio “popolare” dei pazienti che ci sono passati. Io ho fatto così ed è stato di grande ispirazione per me.

Cosa puoi dire ai bambini che devono affrontare questa disabilità, per aiutarli a vivere serenamente?

Puoi solo rispondere alle loro domande, la tua risposta può essere convincente e ispiratrice di cose positive, rasserenante perché hai un ascendente molto più forte essendo uno che parla per esperienza personale. Loro ti vedono come compagno di sventura, come una persona che quella situazione l’ha già vissuta.

Quanto è servito chiamarsi Alex Zanardi? La celebrità conta anche in una situazione come questa?

Moltissimo, anche se ritengo che ognuno debba usare gli strumenti che ha. Occupare una determinata posizione all’interno della società implica aspetti positivi e negativi. Io non sono questo Zanardi da sempre, “lo sono diventato”. Sono Zanardi figlio di un idraulico e una casalinga, in partenza. Ora questo nome può significare molto, per esempio può aiutare ad avere un’assistenza migliore, ma tutto dipende da te. Non ho vinto le Olimpiadi perché avevo il carbonio, ma perché avevo voglia di “produrre il mio tentativo” e, per tre anni, mi sono allenato per questo. Non l’ho mai percepito come un sacrificio perché volevo farlo. Così per la riabilitazione, che ho cercato di affrontare nel miglior modo possibile e volevo farla nel minor tempo possibile, per non sprecarlo, quel tempo. Chiamarsi Zanardi non mi ha risparmiato la fatica e il dolore che sono stati necessari per affrontare tutto e portar a termine la riabilitazione stessa. Certo, ho potuto avere accesso a componenti più costose ma, per esempio, cammino con due ginocchia di tipo meccanico perché vanno bene per me e sono quelle che possono avere tutti coloro che hanno assistenza da parte dell’asl.

In Italia, la disabilità non viene ancora affrontata in modo adeguato, soprattutto dal punto di vista dei servizi. Si potrebbe fare di più?

L’Italia, e uso una metafora da automobilismo, è come una macchina con una cilindrata pazzesca ma estremamente scarburata. Il tutto si avverte adesso, per via della crisi, ma è scarburata da anni e, in relazione ai risultati prodotti, diciamo che sono minimi rispetto al valore reale. A tutti i livelli, avremmo potuto fare molto di più, solo che spesso resta solo nelle intenzioni di chi siede nella sala dei bottoni, ma poi la consapevolezza di dover fare qualcosa si perde e chi deve decidere non la fa. Siamo disorganizzati a tutti i livelli e, come conseguenza, in Italia i disabili tendono a soffrire di più perché è tutto più complesso. Questo non deve essere un alibi per non fare le cose: ci deve essere un messaggio educativo da portare avanti, per chi la vive, la disabilità, e per chi la può lenire. Ci deve essere impegno da parte di coloro che hanno gli strumenti. Servono azioni concrete e le persone che hanno una disabilità devono far sentire la loro voce e comunicare le loro esigenze. E aggiungo, chi può, dia loro voce.

Erika Saggiorato

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